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Karimanifesto: il Karim Rashid pensiero

Karim Rashid entra a pieno titolo nella top 5 dei designer piú chiacchierati del mondo insieme a Filippo il Forte (Philippe Starck), Ron Arad, Marcel Wanders e Zaha Hadid. É quella che viene etichettata una “artistar” – come si legge sul Sole 24 Ore in un articolo di aprile 2009.

In breve. Karim Rashid nasce nel 1960 a Il Cairo. Da giovane si trasferisce in Canada, dove nel 1982 si diploma in Industrial Design alla Carleton University di Ottawa. Prosegue gli studi di design in Italia, a Napoli con Ettore Sottsass e a Milano presso lo studio di Industrial Design di Rodolfo Bonetto. Rientrato a Toronto collabora con la KAN Industrial Designers e, contemporaneamente, fonda lo Babel Inc. and North Studio (1985-91). Nel 1983 apre a New York un’attività in proprio che annovera decine tra le aziende piú prestigiose. […] Per dieci anni docente di Design Industriale presso la University of Arts di Philadelphia, ha insegnato al Pratt Institute di New York, alla Scuola di Design nel Rhode Island e all’Ontario College of Art. Intensa anche la sua attività di giornalista su periodici di design. Ha scritto un libro nel 2001 (“I want to change the world” ed. Rizzoli) e i suoi oggetti di design sono esposti nei musei d’arte contemporanea piú importanti del mondo. (fonte: archimagazine)

Architetto, designer, imprenditore, giornalista, docente.

Premessa. Innanzitutto una domanda: vi piace il design di Karim Rashid?

A molti piace, a qualcuno no. Io sono parte dei “qualcuno”. Tuttavia non posso che esprimere molta ammirazione per la sua figura professionale e per il modo in cui Karim ha saputo vendere al mondo le proprie utopie, i propri sogni e le visioni. D’altronde da un discepolo di Ettore Sottsass non ci si poteva aspettare altro.

Ecco perché, a prescindere se vi piacciano o meno i design di Rashid, dovreste leggere quanto segue: ho composto un mix di risposte provenienti da alcune interviste rilasciate negli ultimi due anni (in cui il nostro si é ripetuto abbastanza) che – opportunamente filtrate – rivelano un personaggio molto diverso dalla “design star” al quale spesso vengono addebitate volentieri le disgrazie del mondo, vuoi per l’uso sfacciato di chili e chili di plastica e gomma, vuoi per la predilezione di colori fluorescenti (che personalmente trovo irritanti) come il rosa shocking, il giallo e via dicendo. E, sí lo sappiamo, l’header di questo blog é rosa shocking…e allora?

Il rosa. Karim dice di usare il rosa da 25 anni nei suoi lavori ed é fiero di averlo “liberato” dalla vecchia concezione un po’ bigotta che lo relegava tra i colori esclusivamente femminili. Il rosa é un colore molto positivo e passionale, che fa sentire vivi, fa sorridere e comunica calore. In realtá adora tutti i colori e confessa “For me, color for the eye is like food for the tongue”. Tutt’oggi denuncia lo squallore delle metropoli che, col loro grigiore sono deprimenti. Anche l’architettura dovrebbe essere piú colorata. Continua a leggere

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Perché fare design?

Questa personale analisi critica sul design parte da una domanda. Che è la diretta conseguenza del quesito che il designer italiano Paolo Ulian ha posto agli  studenti dell’ISIA di Faenza durante il seminario “Sensibile – Il design come creazione di senso” del 2007. La domanda era la seguente:

“Credete che sia giusto il mestiere che fate?”

Ed io personalmente aggiungo: pensiamo che sia utile, il mestiere che facciamo (o meglio: faremo)?
Se lo chiedessimo a Philippe Starck probabilmente ci risponderebbe di no. Racconterebbe di essere un designer di regali di Natale. Direbbe che il design è inutile, che il suo lavoro è inutile, e ch’egli si sente un impostore. In un certo senso è un discorso non privo di ragione. C’è chi dice che il design storicamente sia nato per incrementare le vendite delle aziende. Del resto, come sosteneva Raymond Loewy, “La bruttezza si vende male” (Never Leave Well Enough Alone, 1951); parole che possono essere interpretate asserendo che il design dev’essere solo un’arma di marketing per i produttori, che così renderanno i loro prodotti più ammiccanti e più appetibili, aumentando i loro fatturati. Ed è innegabile che ci sia una corrente del design contemporaneo che disegni oggetti di lusso prodotti da grandi marchi e venduti a ricchi clienti. Il regno del superfluo, insomma, figlio di un consumismo sfrenato e padre di una commercializzazione della firma; parliamo di un design narcisistico che ama godere della propria immagine patinata, che ama luccicare di se stesso e della propria foto sulle prime pagine delle riviste di settore.
Parliamo ad esempio di quei creativi come può essere Karim Rashid, che ha presentato due anni fa, durante il Fuori Salone a Milano 2007, la “Cliquot Loveseat”, una doppia seduta romantica ottima per le coppie, elaborata in collaborazione con la casa produttrice di vini “Veuve Clicquot” e che infatti prevede un apposito cestello per lo champagne, proprio al centro della seduta. Superfici patinate, uso smodato di plastica, color rosa shocking a firma dell’autore; prezzo stimato: 10 mila dollari. Continua a leggere

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