É possibile parlare ancora di Design anonimo? Ovvero, quella forma degli oggetti divenuti lo standard, cosí popolari da non farci piú porre la domanda “chi l’avrá disegnato?”. Per avere un’idea chiara del fenomeno basta prendere in mano e sfogliare l’ormai famoso libro intitolato “Design anonimo in Italia” scritto da Alberto Bassi, critico del disegno industriale e docente dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, uscito nel 2007 per Electa. Se ne contano piú di settanta attribuibili al solo territorio italiano (dalla moka al cono gelato, alla sedia di Chiavari passando dal Borsalino alla Tuta e al motorino…ma anche il tram, le scarpe da ginnastica, i doposci, la pentola a pressione, la Bic, la moka, il tratto-pen e i cerini, il fiasco di vino, la tanica da benzina, il lucchetto antifurto o la grattugia per il formaggio parmigiano…) ed ognuno esprime a tutt’oggi un perfetto equilibrio tra funzione e forma, che gli conferisce quell’aspetto di eterna attualitá. Gli oggetti di design anonimo italiano sono stati premiati dal tempo e dall’uso quotidiano.
Si puó dire che, ancora oggi, creare un oggetto che possa diventare “anonimo” (nel senso, appunto, di eterno e usato da chiunque) sia uno dei sogni piú eccitanti dei designer italiani. E probabilmente lo stesso vale per molti altri designer nel mondo. Achille Castiglioni é stato uno dei pochi geniali talenti che ha saputo condurre con onestá la sua carriera di “inventore” creando oggetti mitici sia per il mercato dell’Hoch Design (Alto Design) che per il mercato popolare (quello piú “normale” e meno pretenzioso): é suo il design per l’interruttore piú diffuso in Italia, quello prodotto dalla BTicino…oggetto che lo stesso Castiglioni portava sempre in tasca con sé e proclamato come il progetto al quale era piú legato…proprio perché faceva “clic-clac”!
Il discorso sugli oggetti anonimi al giorno d’oggi é ovviamente cambiato. Seppur inconsapevolmente per molti, la cultura materiale ha assunto dimensioni enormi fino a occupare i primi posti tra le prioritá delle persone: il culto dei brand e dei marchi ne é l’esasperazione piú evidente. Dal dopoguerra ad oggi si é sviluppata, di pari passo ai progressi del marketing e come sua conseguenza diretta, la “voglia di essere sedotti” abbinata a tutte le cose, agli eventi, allle parole…alle stesse persone. Oggigiorno tutti i prodotti hanno un nome e un marchio (la “famiglia”). Persino il cibo deve dichiarare la sua provenienza, che dev’essere tracciabile. Sebbene veniamo investiti da migliaia di colori, messaggi, promozioni ed immagini di prodotti possiamo affermare di conoscerli tutti (o almeno possiamo farlo in potenza); l’iPod é un esempio-chiave:
- nome: iPod
- famiglia: Apple MacIntosh
- designed by: Jonathan Ive
Non é piú possibile, quindi, parlare di un vero design anonimo contemporaneo, secondo me. Tuttavia ritengo che abbia subito parecchie mutazioni fino a diventare un qualcosa di altro.
Chinese stools. La coppia di designer olandesi Wieke Somers e Dylan van den Berg danno una prima interpretazione di nuovo design anonimo: nel 2007 hanno trascorso un mese in Cina, hanno setacciato la cittá in cerca di sgabelli “personalizzati” con soluzioni improvvisate dagli ambulanti e dagli autisti dei risció (dalle persone comuni) per rendere piú confortevole la giornata di lavoro. Una volta selezionati i “prototipi” ne hanno realizzato il calco e gli stampi precisi, dando vita a una “nuova” serie limitata di 12 sedute in alluminio laccato che conservano fedelmente tutti i dettagli e i rattoppi originali. Un modo interessante per ricreare la “comoditá” in piccola serie…oltre che una simpatica pernacchia al Made in China ;)
Considerata ormai la sedia piú famosa e diffusa nel mondo, la Polybloc (o Monobloc per alcuni) fa parte di quella serie di oggetti anonimi di cui non si conosce veramente l’ideatore. Le varianti sul tema sono giá state molteplici, anche se tutte su un campo piú prossimo all’arte che al design industriale (vedi gli esempi di Martino Gamper, Martí Guixé, Maarten Baas e i fratelli Campana…). Uno degli ultimi progetti di Paolo Ulian (che ha esposto recentemente a Milano presso la Fabbrica del Vapore una mostra dal titolo “Paolo Ulian 1990 – 2009”) s’intitola “Poltroncina Matriosca” e riprende proprio la sedia monoblocco rivisitandone l’utilizzo – non singolo ma – in serie: basta un semplice taglio all’altezza dell’ultima sedia impilata ed ecco 10 sedute uguali ma diverse: dalla piú alta alla piú bassa. Da continuare a usare in giardino, ma forse – questa volta – anche in casa, magari proprio in occasione di qualche ricevimento o festa improvvisata.
Significato o significante? Non é semplice capire se, col fatto che la produzione industriale sta puntando (lentamente) alla piccola produzione in serie*, l’attenzione dei designers sostenibili voglia concentrarsi sul nuovo significante (la forma degli oggetti) o puntare sul vecchio significato (la funzione, l’utilitá dell’oggetto comune). Ben inteso che, come “significato” ci si riferisca anche alla volontá/necessitá di pensare, di sorridere, di comunicare o semplicemente di trarre stimoli culturali…fattori che, al tempo della tanica, della pentola a pressione e del tram, non erano ancora divenuti parte integrante degli “oggetti di funzionalitá culturale” ai quali siamo ora abituati. E anche un po’ assuefatti…suvvia.
*produzione on demand sembrerebbe il termine piú adeguato.