“Perseguire la novitá é combattere contro i mulini a vento: l’obiettivo non deve essere il nuovo, ma il buono”
(Mies Van Der Rohe)
Probabilmente é questa visione delle cose che spinge alcuni progettisti creativi ad affrontare, almeno per una parte della propria carriera, il tema dell’upgrading: il miglioramento di ció che c’era prima. Cosí come l’avanzamento tecnologico corrisponde a un’ottimizzazione delle risorse e dei costi (tempo e denaro) unito a un miglioramento del valore aggiunto intrinseco all’oggetto o del servizio, anche il design ha le sue ampie possibilitá di applicazione nel campo.
Di esempi validi ce ne sono molti, tuttavia preferisco concentrarmi su due casi, a mio parere, emblematici: l’upgrade dell’oggetto comune e l’upgrade dell’icona del design.
Sedia Front in plastica e cuoio. La sedia di plastica bianca è la seduta più diffusa al mondo, non c’è dubbio. Non è firmata da alcun designer noto e costa solo 2 euro. Lo studio svedese Front Design ha aggiunto l’imbottitura rivestita in pelle dando vita a un’originale ed esclusiva poltroncina, peraltro piuttosto elegante. L’operazione è stata piuttosto semplice (“aggiungere una fodera”) e non certo originale (basti pensare ai cuscini “della nonna” per ammorbidire l’effetto della seduta prolungata…), tuttavia si tratta di un’operazione molto decisa e innovativa.
Decisa per via della scelta della pelle, un materiale costoso e “nobile” (sebbene gli animalisti abbiano qualcosa da obiettare): anzichè realizzare una semplice imbottitura in gommapiuma e cotone colorato le ragazze svedesi hanno puntato sul glam, sull’eleganza e la provocazione…
Innovativa perchè – sebbene se ne siano viste molte altre di imbottiture improvvisate – nessuno aveva mai pensato prima di “omaggiare” la sedia comune in questo modo. Esposta al Salone Satellite e promossa anche attraverso il circolo Designer’s Block, la sedia Front è commercializzata dall’azienda belga Vlaemsch al prezzo molto meno popolare di 245 euro.
Salif Aid. Risale al 2000 la ricerca formale fatta di modifiche e upgrade ad alcune icone del design presentata dallo studio tedesco Adam & Harborth, che – tra l’altro – sono stati anche miei docenti durante il mio Erasmus all’UdK di Berlino. Nel caso del celeberrimo spremiagrumi di Philippe Starck – Juicy Salif appunto – l’esempio è lampante ed è da interpretare come un’ironica denuncia: perchè accontentarsi di un oggetto inutile che è stato trasformato in un’icona del design? Tutti sanno che lo spremiagrumi di Starck è inservibile: il succo scivola in parte nel bicchiere e in parte viene perduto sul ripiano…e, quindi, che senso ha considerarlo un oggetto di culto del design se non riesce ad assolvere alla sua prima funzione, ovvero servire a qualcosa? L’operazione del duo tedesco è stata esattamente questa, ovvero agire, modificare, aggiungere qualcosa che potesse riconferirgli la sua funzione, che lo facesse “riatterrare” sul pianeta terra, strappandolo dall’olimpo delle opere d’arte fini a sè stesse…dai semplici suppellettili insomma. A parer mio l’operazione è piuttosto semplice anche in questo caso, sebbene comporti uno studio formale e tecnologico non indifferente: un conto è creare un oggetto dal nulla e un altro è studiare d’accapo un oggetto esistente e migliorarlo senza rovinarne le caratteristiche. Inoltre mi sembra evidente anche un certo ruolo politico (la denuncia) che, almeno per il caso del noto designer francese, risponde ad armi pari al suo atteggiamento sempre provocatore e anticonformista. Continua a leggere